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ANIMALI: abbandonare cuccioli di cane davanti ad un canile è reato.

Con una recente pronuncia, la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito che il reato di abbondono di animali viene commesso anche da chi lascia dei cuccioli davanti ad un canile senza premurarsi che gli stessi vengano effettivamente presi in cura e custodia dalla struttura.

In quel caso, infatti, l’imputato si era difeso sostenendo che l’interesse e la cura mostrata nei confronti dei cuccioli si dovesse desumere proprio dal fatto di aver lasciato i suddetti animaletti davanti alla porta di un canile, luogo deputato a prendersi cura di loro.

La Suprema Corte ha respinto tale tesi specificando che non importa il luogo in cui materialmente vengono lasciati gli animali e a maggior ragione nel caso di cuccioli di cane: si tratta infatti di animali che, già per loro natura, soffrono l’eventuale allontanamento forzato dai propri padroni e che quando sono cuccioli richiedono un livello di cura, attenzione e affetto maggiori.

Il proprietario dei cuccioli, pertanto, è tenuto a verificare che la struttura del canile possa occuparsi di loro e li accetti formalmente, poiché in caso contrario si integra il reato di abbandono di animali.

E’ del tutto evidente che ben più grave sarà la responsabilità di chi gli animali li abbandona in luoghi ancor meno idonei, come può essere una strada.

SUPER BONUS 110%: Può il condomino opporsi ai lavori approvati?

Tematica certamente attuale è quella relativa al c.d. “Super bonus 110%” che fra proroghe e modifiche sta tenendo in ballo numerosi condominii.

Il Tribunale di Firenze ha avuto modo di pronunciarsi di recente sul caso di un condomino che voleva bloccare i lavori già approvati dall’assemblea condominiale perché, giunti al momento dell’installazione dei ponteggi, aveva appreso che la loro collocazione avrebbe ostacolato il suo utilizzo di un passo carraio relativo ad un magazzino di sua proprietà, necessario, peraltro, all’esercizio della sua attività lavorativa.

In questo contesto, il Tribunale di Firenze ha adottato una soluzione che si potrebbe definire “salomonica”, in quanto pur negando al singolo condomino la possibilità di bloccare i lavori già approvati, e preso atto che non vi era altro modo di collocare i ponteggi, ha riconosciuto il dovere per la ditta di provvedere al montaggio degli stessi in modo che si riducesse al minimo l’ingombro per il passaggio carraio e il libero utilizzo dello stesso.

Tale decisione trova il suo fondamento in un bilanciamento dei due distinti interessi ed è finalizzato ad evitare da una parte che il condominio si ritrovi esposto a pagare costose penali per il sopraggiunto inadempimento e dall’altra che, comunque, i diritti del singolo condomino non vengano eccessivamente ed arbitrariamente compressi o, peggio, annullati, obbligando la ditta a fornire, nei limiti del possibile, un progetto adeguato alle esigenze del singolo.

Si rammenta inoltre che in un caso simile, dove tuttavia, l’ingresso di un passo carraio di un box auto era stato totalmente occluso dai ponteggi, un giudice civile aveva riconosciuto che al proprietario del box venisse pagata dal condominio un’indennità per tutto il periodo di inutilizzabilità del box.
In entrambi i casi, è bene evidenziarlo, affinchè i lavori prevalgano sul diritto del singolo è necessario che non sia possibile prevedere una collocazione dei ponteggi diversa rispetto a quella deliberata. Qualora, infatti, sia possibile installare i ponteggi in modo da non creare pregiudizio alla proprietà privata, ciò deve essere fatto senza possibilità di deroga.

Animali domestici: il cane ha diritto di entrare nei parchi

Con un recente provvedimento, il Tar Campania ha stabilito che il divieto assoluto di introdurre cani, anche se custoditi, nelle aree ricomprese nel centro storico ovvero dei parchi cittadini dedicati all’intrattenimento ludico dei bambini – pur se in ragione delle meritevoli ragioni di tutela dei cittadini in considerazione della circostanza che i cani vengono spesso lasciati senza guinzaglio e non ne vengono raccolte le deiezioni – risulta essere eccessivamente limitativa della libertà di circolazione delle persone ed è in tal modo posta in violazione dei principi di adeguatezza e proporzionalità.

Il Tar, infatti, ha chiarito che le esigenze di tutela dei cittadini e dello stato dei luoghi, risultano già compiutamente salvaguardate dalla disciplina vigente in materia, che impone di condurre i cani al guinzaglio e di rimuovere le eventuali deiezioni. E’ quindi onere dell’ l’Amministrazione Comunale adoperarsi fine di rendere cogenti tali misure mediante una efficace azione di controllo e di repressione.

Fatto lieve: non si punisce, ma si risarcisce comunque

La Corte Costituzionale è intervenuta con una pronuncia particolarmente interessante in tema di fatti di particolare tenuità.

Aderendo ad un orientamento da tempo sostenuto anche da questo Studio, la Corte delle leggi ha di fatto specificato che un conto è la punizione e un conto è il risarcimento del danno.

In altre parole, quando il reato causa un danno esiguo è giusto che non venga punito secondo le leggi penali, ma è altresì sacrosanto che la vittima possa ottenere comunque un ristoro per l’ingiustizia subita.

Niente carcere o multe, ma si deve venire incontro alla vittima.

Guida in stato di ebrezza: anche la messa alla prova può salvare la patente

Fino ad oggi, la normativa consentiva di ottenere una riduzione sulla sanzione della sospensione della patente prevista in caso di guida in stato di ebrezza solo in caso di sostituzione della pena con i lavori di pubblica utilità, un istituto speciale previsto appositamente dalla normativa sulla guida in stato di ebrezza.

Le sentenze in questione invece hanno decretato che anche scegliendo l’istituto della c.d. “messa alla prova” (che di fatto prevede sempre lavori di pubblica utilità, volontariato e, anzi, addirittura un ristoro dei danni) debbano essere garantiti agli indagati/imputati alcuni benefici.

Da una parte, infatti, la Corte di Cassazione ha stabilito che non può essere il giudice penale a disporre la sospensione della patente quando il trasgressore si è regolarmente e positivamente sottoposto al programma di messa alla prova, in quanto tale compito, avendo natura amministrativa, spetta, in un secondo momento, al Prefetto. Ciò in quanto con la messa alla prova il giudice, di fatto, non compie alcun accertamento di responsabilità

Dall’altra, la Corte Costituzionale ha censurato la normativa nella parte in cui non consente al Prefetto, in caso di esito positivo della messa alla prova, di applicare “il premio” della riduzione della metà del periodo di sospensione della patente da applicarsi (beneficio che, fino ad oggi, era riservato solo a chi poteva aderire all’istituto speciale dei lavori di pubblica utilità).

Unico limite che ancora permane è il caso in cui, oltre a guidare sotto l’effetto di alcol, si provochi anche un qualsiasi incidente.

La battaglia del risarcimento del danno

Quanto vale il danno derivante da lesioni personali causate da un incidente stradale o da una responsabilità da errore medico?

Se si tratta di lesioni permanenti fino al 9% il valore dell’invalidità è previsto dalla legge sulla base del rapporto tra l’età dell’infortunato ed il grado di invalidità. Ad esempio un 9% di invalidità di una persona di 30 anni è quantificato in € 16.200,00, se questa persona di anni ne ha 60 il suo danno è quantificato in € 13.500,00.

Questo è il primo dato singolare: l’uomo si deprezza col tempo come le autovetture però almeno c’è un criterio oggettivo che consente di fare dei calcoli concreti senza dover battagliare per elemosinare un risarcimento congruo con le compagnie di assicurazione.

Il problema vero nasce quando le lesioni sono superiori al 9% o, addirittura, vi è la morte.

In questo caso viviamo nel marasma generale poiché, molto spesso, i Tribunali in Italia applicano tariffe diverse e può succedere che una lesione grave del 50-60%, o la morte, abbiano valutazioni grandemente difformi a seconda del Tribunale che decide.

Quindi l’uomo non solo si deprezza col tempo ma il valore cambia secondo il luogo ove ha la sventura di patire il danno fisico.

Meritoriamente il Tribunale di Milano diffonde annualmente delle tabelle di valutazione del danno che certamente costituiscono una bussola per orientarsi nell’incertezza generale. Tali tabelle hanno però un difetto indicano un minimo ed un massimo con una forbice molto elevata. Ad esempio il coniuge di un deceduto può essere risarcito da un minimo di circa € 168.000,00 ad un massimo di € 336.000,00.

Questa discrasia comporta rilevanti difficoltà nelle trattative con le Compagnie di Assicurazione perché loro conoscono solo la quota minima e farli discostare da lì è impresa ardua.

Come risolvere il problema? Occorrerebbe, ma se ne parla da anni e non succede mai nulla, che sulla scia delle tabelle delle lesioni minime 1-9%, vi fossero delle tabelle previste dalla legge che quantifichino tutte le percentuali di invalidità, compresa la morte, in maniera tale da poter favorire gli accordi stragiudiziali con le Assicurazioni senza dover attendere l’esito del processo che come noto dura anni.

Ovviamente le tabelle dovranno ispirarsi ai criteri sino ad oggi individuati dai Giudici senza tener conto delle pericolosissime influenze delle potenti Compagnie assicurative che sono rigorose nel raccogliere il denaro (i cosiddetti premi) ma molto meno quando gli tocca risarcire.

Occorre un sistema tabellare più oggettivo con una forbice meno ampia tra il minimo e il massimo e soprattutto dei criteri tabellari che tengano conto dell’intensità del valore affettivo, come recentemente indicato dal Tribunale di Milano, considerando elementi quali:

  • la sopravvivenza degli altri congiunti della vittima deceduta;
  • la frequentazione di due soggetti in presenza o anche in modalità telefonica o internet;
  • la condivisione di feste e ricorrenze;
  • la condivisione di vacanze, di attività lavorative, di passatempi o sport;
  • l’attività di assistenza sanitaria e domestica prestata alla vittima.

In buona sostanza sono necessari criteri di determinazione del danno che tutelino il cittadino di fronte al superpotere delle avarissime Compagnie di Assicurazione poiché, come mi  insegnava il mio  nonno: “L’avar a l’è cume l’asu ch’a porta ‘l vin e a beiv l’acqua” (L’avaro è come l’asino che porta il vino e beve l’acqua).