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Fatto lieve: non si punisce, ma si risarcisce comunque

La Corte Costituzionale è intervenuta con una pronuncia particolarmente interessante in tema di fatti di particolare tenuità.

Aderendo ad un orientamento da tempo sostenuto anche da questo Studio, la Corte delle leggi ha di fatto specificato che un conto è la punizione e un conto è il risarcimento del danno.

In altre parole, quando il reato causa un danno esiguo è giusto che non venga punito secondo le leggi penali, ma è altresì sacrosanto che la vittima possa ottenere comunque un ristoro per l’ingiustizia subita.

Niente carcere o multe, ma si deve venire incontro alla vittima.

Guida in stato di ebrezza: anche la messa alla prova può salvare la patente

Fino ad oggi, la normativa consentiva di ottenere una riduzione sulla sanzione della sospensione della patente prevista in caso di guida in stato di ebrezza solo in caso di sostituzione della pena con i lavori di pubblica utilità, un istituto speciale previsto appositamente dalla normativa sulla guida in stato di ebrezza.

Le sentenze in questione invece hanno decretato che anche scegliendo l’istituto della c.d. “messa alla prova” (che di fatto prevede sempre lavori di pubblica utilità, volontariato e, anzi, addirittura un ristoro dei danni) debbano essere garantiti agli indagati/imputati alcuni benefici.

Da una parte, infatti, la Corte di Cassazione ha stabilito che non può essere il giudice penale a disporre la sospensione della patente quando il trasgressore si è regolarmente e positivamente sottoposto al programma di messa alla prova, in quanto tale compito, avendo natura amministrativa, spetta, in un secondo momento, al Prefetto. Ciò in quanto con la messa alla prova il giudice, di fatto, non compie alcun accertamento di responsabilità

Dall’altra, la Corte Costituzionale ha censurato la normativa nella parte in cui non consente al Prefetto, in caso di esito positivo della messa alla prova, di applicare “il premio” della riduzione della metà del periodo di sospensione della patente da applicarsi (beneficio che, fino ad oggi, era riservato solo a chi poteva aderire all’istituto speciale dei lavori di pubblica utilità).

Unico limite che ancora permane è il caso in cui, oltre a guidare sotto l’effetto di alcol, si provochi anche un qualsiasi incidente.

La battaglia del risarcimento del danno

Quanto vale il danno derivante da lesioni personali causate da un incidente stradale o da una responsabilità da errore medico?

Se si tratta di lesioni permanenti fino al 9% il valore dell’invalidità è previsto dalla legge sulla base del rapporto tra l’età dell’infortunato ed il grado di invalidità. Ad esempio un 9% di invalidità di una persona di 30 anni è quantificato in € 16.200,00, se questa persona di anni ne ha 60 il suo danno è quantificato in € 13.500,00.

Questo è il primo dato singolare: l’uomo si deprezza col tempo come le autovetture però almeno c’è un criterio oggettivo che consente di fare dei calcoli concreti senza dover battagliare per elemosinare un risarcimento congruo con le compagnie di assicurazione.

Il problema vero nasce quando le lesioni sono superiori al 9% o, addirittura, vi è la morte.

In questo caso viviamo nel marasma generale poiché, molto spesso, i Tribunali in Italia applicano tariffe diverse e può succedere che una lesione grave del 50-60%, o la morte, abbiano valutazioni grandemente difformi a seconda del Tribunale che decide.

Quindi l’uomo non solo si deprezza col tempo ma il valore cambia secondo il luogo ove ha la sventura di patire il danno fisico.

Meritoriamente il Tribunale di Milano diffonde annualmente delle tabelle di valutazione del danno che certamente costituiscono una bussola per orientarsi nell’incertezza generale. Tali tabelle hanno però un difetto indicano un minimo ed un massimo con una forbice molto elevata. Ad esempio il coniuge di un deceduto può essere risarcito da un minimo di circa € 168.000,00 ad un massimo di € 336.000,00.

Questa discrasia comporta rilevanti difficoltà nelle trattative con le Compagnie di Assicurazione perché loro conoscono solo la quota minima e farli discostare da lì è impresa ardua.

Come risolvere il problema? Occorrerebbe, ma se ne parla da anni e non succede mai nulla, che sulla scia delle tabelle delle lesioni minime 1-9%, vi fossero delle tabelle previste dalla legge che quantifichino tutte le percentuali di invalidità, compresa la morte, in maniera tale da poter favorire gli accordi stragiudiziali con le Assicurazioni senza dover attendere l’esito del processo che come noto dura anni.

Ovviamente le tabelle dovranno ispirarsi ai criteri sino ad oggi individuati dai Giudici senza tener conto delle pericolosissime influenze delle potenti Compagnie assicurative che sono rigorose nel raccogliere il denaro (i cosiddetti premi) ma molto meno quando gli tocca risarcire.

Occorre un sistema tabellare più oggettivo con una forbice meno ampia tra il minimo e il massimo e soprattutto dei criteri tabellari che tengano conto dell’intensità del valore affettivo, come recentemente indicato dal Tribunale di Milano, considerando elementi quali:

  • la sopravvivenza degli altri congiunti della vittima deceduta;
  • la frequentazione di due soggetti in presenza o anche in modalità telefonica o internet;
  • la condivisione di feste e ricorrenze;
  • la condivisione di vacanze, di attività lavorative, di passatempi o sport;
  • l’attività di assistenza sanitaria e domestica prestata alla vittima.

In buona sostanza sono necessari criteri di determinazione del danno che tutelino il cittadino di fronte al superpotere delle avarissime Compagnie di Assicurazione poiché, come mi  insegnava il mio  nonno: “L’avar a l’è cume l’asu ch’a porta ‘l vin e a beiv l’acqua” (L’avaro è come l’asino che porta il vino e beve l’acqua).